rivista di letteratura in embrione

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Andrea Bruni
Editoriale
Mi ami? (racconto)
Note biografiche



EDITORIALE

d i

Andrea Bruni




Quarantaquattro tarantini in fila per tre

Da anni la critica cinematografica si sbraccia, con annoiato entusiasmo, nel tentativo di gettare le basi (teoriche) di una nuovo linguaggio estetico; da un lato abbiamo la critica togata, stitica e tavianea, che piange lacrime di coccodrillo sul "bel cinema" che fu, dall'altro, invece, troviamo i nuovi maitre-à-penser fondatori di una vera e propria Helzapoppin semiotica in cui Bataille va a braccetto con Joe D'Amato, Pasolini se la intende con Nando Cicero e via delirando...
Su una cosa, comunque, tutti sono d'accordo: da alcuni anni le barriere del concetto di filmabile e gli spazi della rappresentazione sono stati infranti grazie ad una nuova genìa di talentacci del calibro di Lynch, di Cronenberg, dei Coen, di Tarantino che, nel giro di pochi anni, hanno polverizzato il concetto di cinema di "genere" per poi farlo rinascere dalle proprie ceneri.
La XVI° edizione del "Mystfest" di Cattolica ha confermato questa tesi, insinuando però già il dubbio che i maestri sopracitati abbiano già seminato lungo la strada fin troppi figliocci...E l'aria da "Cronaca di un Cult annunciato" che accompagnava quasi tutti i film in concorso ne è una emblematica (ed un po' triste) conferma...
Ma andiamo con ordine...
Innanzitutto una certezza quasi Dogmatica: i vecchi provocatori hanno il fiato corto. Alain Robbe-Grillet (lo sceneggiatore del fondamentale ed estenuante L'anno scorso a Marienbad di Alain Resnais) ha portato, infatti, a Cattolica uno stanco catologo di cascami da nouvelle-vogue intitolato Un bruit qui rend fou: un'isola della Grecia piena zeppa di Cinesi ( cos'è il genio? si domanderanno le Bignardi della carta stampata), una bambina puttana (o una puttana bambina?) che ormai manco David Hamilton si filerebbe, ed il fantasma di un marinaio (o il marinaio di un fantasma?) che gira solo se accompagnato da tre fisarmonicisti...
Sublime.
Ma se Atene piange, Sparta non ride...
I registi esordienti,giovanissimi,(alcuni arrivati direttamente dallo Zecchino d'Oro) non hanno certo brillato per originalità; l'ombra sagace ed irriverente di Tarantino ha sorvolato più volte la sala del cinema Ariston rimanendo però più che altro una ingombrante pietra di paragone per codesti imberbi cineasti armati più di buone speranze che di talento...
Troppe storie di ordinarie di follia, troppo spleen metropolitano, troppi omicidi casuali nei vari Soul survivor, Thieves Quartet, Venice Bound soprattutto se non conditi con la crudele ironia e l'impagabile costruzione a mosaico tipica della premiata ditta Avery & Tarantino (a proposito, qualcuno importerà mai in Italia Killing Zoe?).
Che rimane allora, nulla?...
Tutt'altro:
Nella mia memoria di incallito cinefilo all'ultimo stadio, rimarrà la discesa negli Inferi dell'ipocrisia inglesi condotta dalla protagonista di 3 Steps to Heaven di Constantine Giannaris, grottesca versione Hard sul tema della Sposa in Nero.
Rimarranno anche gli sgangherati protagonisti di Johnny Cien Pesos del cileno John Cien Pesos, irresistibile melò a metà fra I soliti ignoti ed Almodovar.
E soprattutto resteranno i film che si lasciano ammirare come puro atto della visione, come rito estatico nei confronti dell'occhio, così spesso avvilito da una messinscena fin troppo sciatta ed approssimativa...
Tre perle che riscalderanno l'inverno del mio cuore:
Half Spirit- La voix de l'Araignée di Henri Barges: livido e turgido come solo Besson, azzardato e ricercato come e più di Lars Von Trier; un noir metafisico come non se ne vedevano dai tempi di Possession di Zulawski.
Rampo di Kasuyoshi Okuyama: Premio George Bataille per la scena più erotica dell'anno: estasi pura, quando Mishima incontra Pittigrilli.
The Addiction di Abel Ferrara; forse non tutti ameranno questo Bresson al sangue, ma chi riesce ancora, oggi come oggi, a penetrarti nell'anima con tale forza?
E l'Italia?
Piange e si dispera consolandosi con una fetta di Grande Cocomero... Ma questo è un'altro discorso...


MI AMI?

d i

Andrea Bruni


Sono appoggiato allo stipite della finestra, il braccio appoggiato contro il muro, la fronte su una mano, una macchia umida che si allarga sul vetro ogni volta che respiro.
Guardo fuori, il giardino illuminato dalla luce gialla del lampione. E’ notte e sembra che faccia ancora più freddo.
Penso.
Un corteo impazzito di volti mi trafigge gli occhi.
Dolci sorrisi, lacrime, carezze, corpi che danzano all’unisono in notti madreperlacee, corpi che si sfuggono in notti di tempesta, mani che brancolano nel buio della disperazione, mani che si rattrappiscono nell’oblio dell’indifferenza...
Vuoto.
Una bruciante sensazione di vuoto mi arpiona la spina dorsale con uncini arrugginiti.
Mi accendo una sigaretta e mi concentro nuovamente sul paesaggio d’alabastro che la finestra mi offre.
Vedo passare, oltre il giardino, una coppia di giovani abbracciati; la luce del lampione evidenzia i loro complici sorrisi, il frenetico intrecciarsi delle dita dietro la schiena...Vanno quasi a sbattere contro un vecchio che viene dall’altra parte della strada, ma loro manco se ne accorgono...
Il vecchio si blocca per un istante, prima di riprendere il cammino lasciando per terra un rosario di improperi borbottati...
Il vecchio mi incuriosisce.
Quale oscuro passato si nasconderà dietro a quel grigio cappotto rattoppato?
Quanti anni ci sono voluti per scarnificare quel corpo, per inaridire quel sorriso?
Una volta incontrai lungo il mio cammino un vecchio del genere...Sì, me lo ricordo... Una specie di maestro... Ma deve essere stato molto tempo fa... Forse in un’altra vita...
Ho freddo.
La sigaretta mi si spegne fra le dita senza che io me ne accorga.
Ho voglia di qualcosa che mi riscaldi.
Mi verso mezzo bicchiere di gin e lo bevo, tutto d’un fiato.
Una vampata di calore mi percuote le tempie.
Per un attimo il mio studio si trasforma in una cabina del Titanic...
Tiro giù la tenda, ormai stanco di ciò che la finestra mi può offrire ed inizio a girovagare per la stanza, in preda ad una sottile inquietudine che, con l’inesorabile scorrere dei secondi, si tramuta in sordo panico...
Sfoglio distrattamente un libro.
Mi gira la testa.
Chiudo il libro e cerco un’altra sigaretta.
Mi gira la testa.
Trovo il pacchetto di Camel e me ne accendo una.
Uno sciame d’api ronza inesorabilmente all’interno della mia calotta cranica.
Mi fisso sulle evanescenti volute di fumo che la sigaretta crea.
Fredde gocce di sudore mi incoronano il capo.
Quando ho cominciato a fumare ?
E chi se lo ricorda più? Mi torna in mente soltanto una stalla invasa dai raggi di un pallido sole primaverile e la sudaticcia paura che uno dei “grandi” mi potesse scoprire...
Come quella volta che mio fratello mi fece vedere che il pisello non serve solo per pisciare... Adesso mi viene quasi da ridere a pensarci, ma allora, quando aprirono la porta della stalla e ci scoprirono, per giorni non riuscii a guardare in faccia i miei...
Ricordi stantii coagulati dal tempo...
Fuochi fatui in una notte senza luna...
Il silenzio mi urla nelle orecchie.
Devo uscire.
Devo.
Non posso continuare a star qui.
Qui tutto mi riporta indietro nel tempo, mi fa fluttuare nell’ago dei ricordi.
Letale...
Non voglio più dare un nome a tutte le labbra che ho baciato, a tutte le spalle su cui ho pianto, a tutti gli sguardi che mi hanno ferito...
Chi è quella deliziosa biondina che mi osserva dalla scrivania, graziosamente incorniciata in un elegante ovale d’argento?
La fidanzata del liceo?
L’amica del cuore?
Non ricordo più...
Una disperata gioia mi fiacca le gambe facendomi accasciare sulla poltrona più vicina.
Mi capita ogni volta che riesco a scalfire un tassello dal mosaico della memoria.
Che bello pensare a quando potrò fluttuare non liquido amniotico dell’incoscienza, assaporando albe e tramonti senza fine...
Così va meglio.
Molto meglio...
Sto riprendendo il controllo delle mani...
Devo uscire.
Chi è che diceva “questa tensione è insopportabile, speriamo che duri”?
Ha ha ha, molto divertente.
Ecco, lo sapevo; mi sono tagliato facendomi la barba.
Il candore della schiuma che ho ancora in faccia è ben presto corroso da purpuree gocce di sangue: la mia faccia sembra una pizza margherita...
Che schifo...
Perché tutto questo sangue?
Il sangue...
Mi piace il suo sapore...
Asciugarsi in fretta uscire non c’è tempo da perdere basta cazzo è inutile cincischiare tanto poi va sempre a finire così quanto sangue, non mi sarò tagliato di brutto?
E adesso?
Non facciamoci prendere dal panico.
CALMA.
Respira forte.
Per tre volte di seguito.
(Chi è che me lo diceva sempre?)
Così... bene...
Va meglio... molto meglio...
Una scudisciata di secondi e sono già in macchina.
Parto, senza sapere dove andare.
Ho finalmente ripreso il dominio di me stesso: il velo mortuario che mi offuscava gli occhi si è dissolto...
Dove sto andando?
Ha importanza, forse?
No.
Quante notti trascorse a leccarsi le ferite in giro per la città...
Notti trascorse ad abbracciare i lampioni, cantando alla luna al ritmo impazzito del proprio cuore...
No... ecco risalire, prepotente, quella sensazione di panico mal coagulato, di paura...
Stiamo calmi.
Meglio fermare la machina e cercare le sigarette...
Buio avvolgimi, ti prego.
Le luci si spengono.
Senza accorgermene sono finito in un cinema.
Una sala a luci rosse.
Carni sudate percuotono lo schermo con gemiti di plastica...
Cerco di concentrarmi sugli occhi dal trucco sfatto di quella poveretta che si dimena a tutto campo davanti a me...
Per un attimo il suo sguardo incrocia quello della telecamera: sono gli occhi di un cerbiatto spaventato.
Quante volte ho incrociato sguardi del genere...
Che tristezza...
Una mano mi sfiora il giubbotto.
Mi volto...
Un ometto, ingobbito dalla vergogna, mi osserva: anche lui ha gli occhi di un cerbiatto ferito ma un sorriso nervoso gli decora il volto smunto...
La mano insiste e inizia a calare verso i miei jeans...
Un rosario di flash accecanti mi fa vacillare: il cesso di una stazione, gemiti soffocati, lacrime e sudore, orgasmi da latrina...
La mano comincia a sbottonarmi i pantaloni.
La blocco e senza accorgermene dico: “usciamo, ho la macchina qui fuori”...
Uscendo lancio un’occhiata verso la cassiera, troppo impegnata a limarsi le unghie per accorgersi di noi.
E’ vero: la mia macchina è proprio davanti all’uscita del cinema.
Un viaggio breve spezzato soltanto dal respiro affannato del mio nuovo compare di avventure...
Una strada di campagna.
Un casolare abbandonato.
Mi fermo.
Il mio nuovo fidanzato sorride:
“Sei bello” mi dice.
Anche io gli sorrido.
Mi accarezza i capelli, sfiora, con dita tremanti, le mie labbra...
“Sei proprio bello” continua a dire...
“Sì, ma mi ami?” gli domando.
Ecco tornare gli occhi da cerbiatto.
“Cosa vuoi dire?”
La sua voce si è abbassata; ecco di nuovo affiorare il sudario del sospetto...
“Mi ami? Credi di potermi amare per tutta la vita?”
Il cerbiatto accenna un timido sorriso imbarazzato.
Non mi piace quel sorriso: l’ho visto troppe volte.
Non mi piace come mi sta guardando...
“MI AMI?”
Ma il cerbiatto non ha il tempo di rispondere perché una rasoiata gli spacca la guancia destra.
“MI AMI?”
Il rasoio gli recide la carotide.
“MI AMI?”
Un caldo fiotto di sangue mi acceca per un secondo.
“PERCHÉ’ NON MI AMI?”
Mani inerti che brancolano nel vuoto.
Gli occhi del cerbiatto adesso sono quelli di un gufo impagliato.
Un gorgoglio rossastro sporca il silenzio della notte.
Esco dalla macchina e respiro a pieni polmoni.
Sono completamente sporco di sangue.
Guardo il cerbiatto che ancora flette le manine bianchicce come un orsacchiotto a cui stanno terminando le pile...
“Quanto ci vorrà per dimenticarti?” gli chiedo.
Non molto.
Ormai mi ci sono abituato.


(Inedito)



L'autore: Andrea Bruni

Andrea Bruni è nato a Faenza nel ‘69 e vive a Massalombarda, in provincia di Ravenna. Ha collaborato a testate locali (“Bassa Romagna”, “Il Giornale di Massa”, “Interzone”...) e specializzate (“La cosa vista”...) occupandosi di cinema ed in particolar modo di horror. Ha appena pubblicato “La covata malefica - Gli orrori dell'infanzia nel cinema fantastico”, Pendragon, Bologna ‘95.




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