rivista di letteratura in embrione
numerozero
Gianfranco Nerozzi
Editoriale
Spazi riservati (racconto)
Note biografiche
EDITORIALE
d i
Gianfranco Nerozzi
Incubatoio 16
Incubatoio: la fucina degli incubi, dei sogni persi nel nulla; edificio che ospita gli impianti dell’incubazione.
Incubazione: tempo necessario perché da un uovo si sviluppi un nuovo individuo in particolari condizioni; periodo che intercorre tra il contatto di un agente infettivo e la comparsa del sintomo della malattia; periodo in cui un avvenimento importante si va preparando senza ancora manifestarsi...
PARASSITI DELLA MALINCONIA
In un giorno imprecisato di un anno imprecisato, un camion proveniente da un imprecisato incubatoio veniva coinvolto in un pauroso incidente sull’A14. Ventimila embrioni di pulcino finirono spiaccicati sulla carreggiata dell’autostrada. Lo spettacolo che si presentò agli occhi dei soliti ‘appassionati’ si poteva accomunare a una mostruosa pittura naive spalmata sull’asfalto in un tripudio di rosso e di giallo, molto suggestiva.
Erano pulcini, erano ventimila e sono morti. E fin qui niente da dire. Se non fosse per quel senso di vuoto che proviamo giorno per giorno che ci rende parte integrante di quella poltiglia: tutti quanti appassionatamente coinvolti. Per non dire incubati parassiti della malinconia.
Perché diventeremo tutti splatter, prima o poi, nel senso che schizzeremo, e di brutto. E non esiste altro modo per non perdersi nel nulla, griiore a parte. Si comincia tutti come embrioni, poi si peggiora: si prende forma.
Ed è fondamentalmente una questione di capacità riproduttiva, uno stimolo che parte dapprima con una vibrazione all’inguine e che poi cresce diffondendosi al resto del corpo, tenendo per ultima la testa, grazie a Dio. E stiamo parlando di stigmate impazzite, di aberrazioni contemporanee, di ombre che si allungano e che toccano da vicino: stiamo parlando di ‘stagioni diverse’ che portano inevitabilmente alla creazione di embrioni ‘malati persi’ da scovareedacovareteneramente/maleficamente.
Incubatoio 16: più che altro uno stato di convinzione.
Perché c’è del sangue sulla strada: il nostro sangue, rigorosamente di pulcino, e scusate se è poco...
Spazi riservati
d i
Gianfranco Nerozzi
Aveva individuato il Bracconiere percependolo nella testa, come un pensiero improvviso: qualcosa di molto simile a un fetore, fiato e gas intestinali che cantano con voce di pazzia.
Cacciare la preda, oh sìììììì! farla a pezzi...
Nutrire la bestia nascosta nel cuore...
Il viceispettore Giosuè Bonetti si era guardato freneticamente intorno sperando di riuscire a scorgerlo. Ma non era facile con tutto quel movimento allucinato di teste di schiene di braccia, facce grigie, labbra truccate...
Nella discoteca all'aperto regnava la follia: corpi sudati premevano da ogni parte, dimenandosi, contorcendosi. All'una di notte, ormai, non c'era nemmeno più lo spazio per stare in piedi, figuriamoci.
Schiacciato nella ressa, Bonetti chiuse gli occhi al sussulto impaziente del proprio cuore. Devo stanarlo, pensò, rispedirlo nell'abisso da cui è venuto... Ruotando la testa di qua e di la, come un'antenna umana, cercò di restare aggrappato alla traccia, di non lasciarsela sfuggire.
Si sforzò. Ce la mise tutta impegnandosi al massimo.
Col volto teso a percepire sul fiore della pelle la carezza tiepida dell'enorme luna estiva gonfia di rosso che
splendeva lassù: triste triste, si rivolse all'interno di se stesso e provò a sintonizzarsi sull'onda crescente del proprio sangue, un tentativo come un altro.
E lo stratagemma sembrò funzionare: senza alcun palpito di preavviso il suo occhio interiore, acuto come una lama di rasoio, si spalancò al centro esatto della sua mente, strappandogli un gemito soffocato.
Agitazione, sensazione di forza ora.... desiderio.
E riuscì a vederlo, finalmente.
Contrazioni di sguardi smarriti persi nel vuoto.. .
Il Bracconiere si stava dirigendo verso le costruzioni prefabbricate riservate ai servizi igienici, proprio a ridosso della recinzione posteriore.
E non era solo.
Come un ragno che cammina tessendo la sua tela, stava trascinandosi dietro una giovane vergine non tanto alta, bionda e sorridente, una preda come un'altra.
Con quella sua gola bianca e tutti quei circuiti azzurri che le pulsano sotto alla pelle. ..
Giosuè Bonetti spalancò le palpebre di colpo uscendo dal trance forse un po' troppo in fretta. Lo sforzo gli fece partire un paio di capillari e una lacrima di sangue gli calò da una narice, fino a lambirgli il labbro superiore: se la leccò con la punta della lingua. E subito dopo sorrise, cercando di ignorare le fitte sorde che pulsavano laggiù: nel profondo di se stesso.
Una brutale rullata in tre quarti percorse la spirale di casse pneumatiche disposte lungo i bordi della pista. 'I tuoi occhi sono come gocce di sangue su di me... " ruggiva Camus Babb, il vocalist dei Mastema, segnando la sua barbara sillabazione al ritmo di una Fender Stratocaster distorta all'inverosimile.
Con la mano destra infilata nella tasca del giubbotto,
stretta sull'impugnatura zigrinata della pistola da macellazione, Bonetti si fece largo nella calca danzante. Si sentiva sfinito, spaventato, e anche un po' sperduto... Insopportabile ogni attimo scandito dalla sua consapevolezza. Di disgusto per quello che era. Di gioia, di dolore. La sua identità era diventata un nucleo attorno al quale si addensavano gli istanti che muovevano la sua vita: una successione di fragili momenti spezzati al di fuori da ogni controllo.
Proprio di fronte alla baracca dei servizi, un gruppo di 'skin' già parecchio bevuti, bisogna dire vedendolo arrivare e accorgendosi del suo cranio pelato, lo scambiarono per un camerata e allora alzarono le bocce di whisky per invitarlo a bere. Bonetti concesse loro solo una rapida occhiata e passò oltre, sprezzante più che mai; ma poi parve ripensarci e tornò rapidamente sui suoi passi; si frugò nelle tasche, sfoggiò il muso più duro che aveva in dotazione guardandoli ad uno ad uno, poi mostrò il tesserino da poliziotto ordinando seccamente di scavarsi dai coglioni: e in fretta! Uno della ghenga probabilmente il capo a giudicare dal cipiglio da brutto canchero notando il suo aspetto esile, si fece avanti con i pollici infilati nelle tasche e la testa reclinata da una parte e prese a fare il 'grosso', organizzandosi subito con un bel sorrisino strafottente stampato sulla faccia: "Non ci fai mica paura, sai?", disse, con fare minaccioso "questurino del mio cazzo..."
Ma poi precipitò nello sguardo del poliziotto,
...nei suoi occhi così chiari, Così grandi... così?
e provò una dolorosa sensazione di dilatazione dentro alla testa, come se le vene gli si stessero gonfiando. Allora si bloccò, come sull'orlo di un precipizio, lasciando che i pollici gli scivolassero fuori dalle tasche delle braghe di pelle nera; poi si prese il capo fra le mani e indietreggiò di
un passo sopra a un paio di gambe diventate improvvisamente troppo molli senza riuscire a trovare la forza di scollare il proprio sguardo dalle pupille trasparenti del poliziotto.
Bonetti a quel punto parlò di nuovo, e cercò di farlo senza lasciare che trapelasse l'impazienza nel tono della sua voce: "Andatevene vi ho detto!" mormorò a denti stretti; poi smise di fissare il 'grosso' che finalmente poté sospirare per il sollievo ed asciugarsi le lacrime che gli sgorgavano dagli occhi puntò l'indice in avanti e aggiunse, quasi in un soffio: "Che vi conviene... ".
E loro, stavolta, non se lo fecero dire due volte e sgombrarono precipitosamente il campo allontanandosi in direzione della pista centrale. Bonetti aspettò che scomparissero, ingurgitati dalla calca danzante e solo allora grugnì soddisfatto. Meno male, pensò. Era meglio non doversi preoccupare di un branco di scomodi testimoni, anche se stronzi, anche se strafatti..,
Dopo aver controllato, a destra e a manca, si scacciò una maledetta zanzara da una guancia, girò il culo e s'infilò nella baracca e si guardò attorno con circospezione: tutto fermo, tutto immobile, non c'era neanche un cane là dentro, per fortuna. Probabilmente doveva ringraziare il gruppo di 'skin': nessuno si era arrischiato ad affrontare le loro facce, e le loro bottiglie, solo per farsi una sana pisciata o una cagata o cosa cazzo...
Con le narici tese allo spasimo e il cuore a regime di tempesta, percorse il piccolo corridoio fino a raggiungere quello che doveva essere il bagno delle femmine e lì si trovò di fronte a una porta chiusa, allora tirò fuori di scatto la pistola e la puntò avanti. Inspirando una profondissima boccata dal naso, accolse il sentore di sangue e di feci versate che impregnava pesantemente l'aria.
Si udivano dei gemiti provenire da dentro, accompagnati da rumori acquosi, come di fango calpestato.
Avvertendo un brivido gelato percorrergli il rilievo della spina dorsale, nonostante il caldo assassino, Bonetti strinse più forte il calcio della pistola; la canna tremava impazzita. Spogliandosi definitivamente della sua paura, con un calcio e un grido, sfondò la porta del cesso e irruppe all'interno.
La vergine era ancora viva.
Era stata costretta supina, con la schiena adagiata sulla tazza, i capelli lunghi e biondi a spazzolare il pavimento incrostato di sporcizia, e i piedi che si muovevano avanti e indietro: molto lentamente. Un gemito gorgogliante fuoriusciva dal buco di sangue che aveva al posto della bocca: la lingua le era stata strappata per impedirle di gridare. Il Bracconiere, inginocchiato di fronte a lei, se la stava risucchiando con passione, maiale che non era altro: si era aperto un varco con gli artigli nel suo addome lacerando e spostando le viscere fino a mettere a nudo il grosso cordone violaceo che costituiva la vena cava inferiore e lì si era attaccato come alla canna di un rubinetto, i denti aguzzi infissi nel tessuto spugnoso e le labbra protese immerse nel sangue in un tripudio di bollicine schiumose.
Bonetti mosse un passo sul pavimento crivellato di spruzzi. Il Bracconiere aveva sollevato la testa girandosi di scatto: gli occhi pervasi di luce rossastra, la bocca grondante di sugo forzata in un verso risentito molto simile a una risata.
Si guardarono per un attimo che parve interminabile, come in uno specchio: due facce pallide e scarne con la stessa espressione di rassegnato stupore.
Le mani del Bracconiere continuavano a muoversi veloci e dispettose sulla carne, massacrandola, animate da un orrido riflesso incontrollato...
Bonetti atteggiò le labbra in una smorfia raggelata ed inghiottì un fiume di saliva, poi tirò il grilletto mirando al centro della fronte.
Con un'esplosione secca, il chiodo da macellazione s'infisse profondamente nell'osso cranico e il Bracconiere ululò rabbiosamente: "Uhnnnnnnnn!". Artigliò l'aria vuota muovendo le braccia in fretta come a volersi alzare in volo. Rigurgitò uno sbocco di vomito che timbrò le piastrelle smaltate della parete con un complicato merletto di sangue mal digerito; infine cadde in avanti, cominciando subito a disgregarsi accartocciandosi su se stesso.
La ragazza non doveva avere più di sedici anni e stava soffrendo le pene dell'inferno: i suoi occhi apparivano fiaccati, scoloriti per il dolore, come se le pupille fossero imbevute di siero di latte.
Cristo, che modo plateale di fare le cose, pensò Bonetti, mentre spingeva via col piede quel poco di materia fumante che restava del corpo del Bracconiere. Si chinò sulla ragazza traendo respiri affannati dal bordo delle labbra. Affascinato e angosciato insieme da tutti quei lamenti, cercò di farsi plagiare da un attimo d'indifferenza. Non era proprio il caso, proprio adesso, di farsi venire una delle sue solite crisi di coscienza del cazzo.
Attanagliato da una moltitudine di pensieri imprecisi, al di fuori di ogni controllo pensieri per lo più ricolmi di desideri di oscenità e di angoscia si fece forza ed esplorò la ferita sul ventre di lei. Senza rendersene conto aveva attivato i propri charismi mentali e adesso il sangue si agitava fermentando nello squarcio, come una cosa viva. Era come se cercasse di allungarsi verso di lui, per contagiarlo inumidendo di rosso la sua espressione disperata.
Quasi come in una sorta di ribellione interiore,
Che cosa sono...
... che cosa sono diventato...
si sollevò di scatto riguadagnando la posizione eretta e si guardò attorno, con un certo stupore. La testa gli girava come una trottola per la debolezza, gli ultimi sprazzi di energia se ne erano andati irrimediabilmente per i cazzi loro, in poche parole: era stanco come una bestia. Del resto, non era facile mantenere sgombri i propri spazi riservati. Occorreva stare in orecchia, vigilare, eliminare tutti quanti i maledetti Bracconieri. Durante il periodo estivo, poi, le cose si complicano, perché il sangue soprattutto di sera con quella luna che se ne sta appesa nel cielo così grande e così matura che sembra quasi che ti possa cadere sulla testa da un momento all'altro e più scuro, più fluido, più appetitoso, roba per cui vale la pena boccheggiare, insomma.
La ragazza lanciò un gemito sottile. E Bonetti, tanto per confondere le acque, si sforzò di emettere una risata, ma gli riuscì solo un verso isterico e gorgogliante come di vomito sputato in un pozzo nero. Non infilava qualcosa nello stomaco da almeno una settimana se non di più e se andava avanti così sarebbe finito in niente.
Con un gesto così lento da sembrare persino studiato, spalancò la bocca azionando i muscoli mandibolari per snudare le zanne.
Poi si chinò sull'addome squarciato con le labbra frementi e la lingua protesa, come sopra a un frutto.
(Tratto da AA.VV., "Sospeso", Editrice L'Entronauta, 94)
L'autore: Gianfranco Nerozzi
Gianfranco Nerozzi è nato a Bologna nel 1957, dove vive e lavora. E’ passato attraverso numerose esperienze artistiche, fra cui la pittura e la musica: autore e compositore, ha militato per più di dieci anni in un gruppo rock dell’area bolognese. Appassionato di culture orientali, praticante lui stesso di diverse discipline di combattimento, sta preparando uno scritto sulla filosofia del karatè. A parte tutto ciò lavora nella pubblica amministrazione. Nel 1990 entra tra i finalisti del premio Tolkien con il racconto ‘In fondo al nero’. Nel 1991 pubblica il suo primo romanzo, lo splatterpunk ‘Ultima pelle’, per le edizioni Eden. Nel 1992 si classifica secondo al XII Premio Tolkien con il romanzo ‘Cry Fly’ ed entra a far parte della World SF, l’associazione internazionale che riunisce i professionisti che lavorano nel campo del Fantastico. Nel 1993, una versione riveduta e ampliata di qualla sua prima storia d’esordio esce come ‘Le bocche del buio’ nella microcollana ‘I piccoli libri dell’horror’ della Polistampa di Firenze. Dalla pubblicazione de ‘Il grande specchio’ sull’antologia Plot 2 edito dalla Metrolibri (1991), suoi racconti dell’orrore sono apparsi su diverse pubblicazioni: Achab, Eternauta, Diesel. Ha partecipato alla raccolta ‘Giallo, nero e mistero’ edita da Stampa Alternativa e all’antologia ‘Sospeso’ (Entronauta).