Mi ricordo che una volta tirai un uovo a mio fratello. Ero sul terrazzo, cinque piani più sopra e aspettavo che tornasse da scuola (io ero rientrato qualche minuto prima, facendo una gran corsa). Non volevo prenderlo proprio in testa, ma tra il collo e la cartella che portava sulle spalle, nel momento in cui allungava la gamba per salire il primo gradino. Invece, quella mattina, lui fece un salto, io lo mancai e l'uovo si spiaccicò sui gradini, dove, seppi più avanti, un signore che abitava nel palazzo scivolò e si fece molto male alla schiena. Perché racconto questo? Perché mi ricordo l'impressione che mi fece quella macchia d'uovo spiaccicata laggiù in fondo, ad una distanza che a me, bambino di scuola, sembrava grandissima. Avevo lanciato un uovo nell'infinito e questo, da un nucleo giallo e rossastro, ancora denso e compatto al centro, si era frammentato in migliaia di schizzi multicolori, in migliaia di direzioni diverse. Più o meno, credo che stia succedendo questo alla nostra rivista in embrione: un concetto originario (per il questo numero il rapporto parola e arti figurative) che schizza in tutte le direzioni e magari arriva alla musica jazz, al cinema "oltre", ad un nuovo concetto (quello di "estremo") che poi, forse, germinerà nel numero successivo. E così le rubriche: quella dei link con altre riviste della rete, quella che contiene una selezione di racconti arrivati via e-mail; quella dedicata alla copertina (per la quale ringraziamo devotamente il grande Karel Thole)... Il prossimo numero, già lo sappiamo, partirà dal concetto di "estremo" ma poi chissà dove andrà a finire. Un po' come l'uovo che lanciai a mio fratello. |
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