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Gianfranco Nerozzi
L'uomo ragno
Note biografiche


L'UOMO RAGNO

racconto di

Gianfranco Nerozzi


L’UOMO RAGNO

Peter Parker spalanca gli occhi nel suo letto, gira la testa verso il comodino e controlla la piccola sveglia digitale col quadrante fosforescente: le due e cinque.
Scostando le lenzuola piano, scende dal letto, attento non far cigolare troppo la rete (perché non vuole certo correre il rischio di svegliare zia May che dorme nella stanza accanto), poi s'infila le ciabattine di panno, e attraversa la stanza guardandosi bene dall'accendere la luce. I sensi di ragno tesi allo spasimo...

Quello stronzo pappone del Labrador lo aveva boccheggiato in pieno proprio mentre scaricava il corpo stagliuzzato di una delle sue troie in un campo delle Roveri (scendendo dalla mercedes, il negroide aveva fatto uscire la lama del coltello a serramanico con uno scatto nervoso, aprendo e chiudendo quelle sue labbra incredibilmente grasse e sformate, e si era avvicinato quasi correndo). Allora l'ispettore Di Chiara aveva dato un calcio al cadavere per farlo rotolare dove l'erba era più alta, poi si era girato del tutto facendosi riconoscere e aveva sorriso, mentre estraeva la Beretta dall'ascellare e la puntava in avanti armando il cane col pollice: mirando dritto al centro della fronte del tunisino.
Il Labrador aveva fatto gli occhi strabici poi si era scostato mettendosi a urlare come un ossesso, aveva girato il culo ed era tornato precipitosamente alla macchina tuffandosi dentro all'abitacolo, e infossando la testa tra le spalle nell'attimo stesso in cui aveva sentito lo sparo, una deflagrazione secca e cattiva seguita da un sibilo: ziiiiing! , il proiettile vicino alla sua testa, poi l'esplosione, il vetro laterale della Mercedes che andava in frantumi disperdendo nella notte una spruzzata di briciole vetrose, uno sfavillio stranamente brillante sotto la luce incerta dell'unico lampione acceso.

Il costume lo sta aspettando in una sportina della Coop bianca e rossa, chiusa a chiave dentro lo stipetto scorrevole della scrivania...
Peter Parker lo prende fuori e lo accarezza con una certa soddisfazione, lo ha confezionato lui: con le sue mani, e gli è venuto anche bene oltre tutto; ha usato una calzamaglia da sci (di quelle intere con la lampo) incollandovi delle strisce di stoffa bianca davanti e di dietro per i simboli del ragno, poi un passamontagna per cappuccio con le rifiniture frastagliate intorno ai buchi per gli occhi, eccezionale. Sorridendo in mezzo a tutto quel buio, muove qualche passo impaziente in direzione del bagno, non vede l'ora di indossarlo, quel costume, di uscire fuori....


Il Labrador era partito sgommando di brutto. E l'ispettore Di Chiara aveva spifferato una bestemmia rivolgendo gli occhi al cielo mentre saliva in macchina a sua volta, buttando la pistola ancora fumante sul sedile a fianco. Niente da fare, la serata stava degenerando malamente e non c'erano cazzi. Aveva perso la testa mentre cercava di farsi la troia nera, perché non gli veniva duro neanche a morire, qualcosa che non andava nell'odore della sua figa - che aveva trovato nauseante -, così aveva cominciato a stringerla: sempre più forte, soprattutto alla gola; e quando lei ad un certo punto, fra un gorgoglio e l'altro, aveva cercato di mollargli una ginocchiata sui maroni, lui aveva perso la pazienza del tutto e aveva recuperato dal bauletto portaoggetti lo scarnitoio che si portava sempre dietro: per ogni evenienza; poi l'aveva sgozzata tenendola con la testa fuori dall'auto, per non sporcare la tappezzeria della Tigra: un lavoro pulito pulito. Peccato che sul più bello, proprio mentre stava scaricando la questione per poi non pensarci più, era arrivato il magnaccia nero in giro di ronda per controllare il proprio territorio del cazzo. Peccato che non lo aveva beccato al primo colpo: c'aveva avuto un buco di culo così quella checca labbrona. Ma non gli sarebbe andata bene una seconda volta, quello era sicuro; lo avrebbe preso e lo avrebbe inculato a sangue, automatico. E non solo perché lo aveva visto in faccia e probabilmente riconosciuto. La verità era che ci provava un gran gusto a schiacciare gli scarafaggi, soprattutto quelli neri.

Chiuso a chiave a quattro mandate dentro il bagno nella sua stanza (facendo piano piano, che non si sa mai), Peter Parker si toglie la casacca del pigiama e resta nudo solo con le mutande.
Infila per prima la calzamaglia, poi i gambali, i guanti... Il cappuccio lo lascia per ultimo.
Si contempla con soddisfazione, esibendosi in qualche posa ragnesca davanti allo specchio a figura intera applicato alla parete del box della doccia: la maschera odora di saliva vecchia e gli pizzica sulle guance ma non importa. Recupera anche la macchina fotografica, una piccola automatica Olympus XA1, e se la infila nella cintura (se mai dovesse capitare l'occasione per qualche foto per quello stronzo di J.J.J. al Daily Bugle). Ancora una guardatina, tanto per stare sul sicuro, tanto per gasarsi da matti... Poi esce dalla camera in punta di piedi, felpato felpato, attraversa il corridoio e raggiunge lo sgabuzzino con la porta che da sul retro della casa, sul cortile interno. I sensi di ragno tesi allo spasimo...


Guidava bene il Labrador, che cazzo! ci sapeva fare col volante... Di Chiara, dal canto suo, spingeva al massimo l'acceleratore e gli rimaneva attaccato al culo.
Ma poi il Tunisino era riuscito a guadagnare terreno con la complicità involontaria di un taxi che stava immettendosi nella tangenziale dall'uscita di Borgo Panigale ai due all'ora, che merda! E allora l'ispettore si era dedicato ad altre pittoresche imprecazioni, mentre scalava la marcia imballando la pigra spostandosi a sinistra per superare il tassista vincendo l'impulso di sporgere la Beretta fuori dal finestrino e di mettersi a sparare, così: tanto per sfogarsi un po'.
La Mercedes intanto, aveva imboccato l'uscita di Casalecchio, che si vede che il pappone non voleva entrare in autostrada. Il poliziotto allora aveva dato gas con una certa rabbia, guadagnando l'uscita a sua volta, senza smettere di bestemmiare nemmeno un momento.

Fuori l'aria è abbastanza fresca ma senza esagerare, così che anche con la maschera addosso, non è facile evitare di sudare. L'uomo ragno sale la rampa della scala esterna e raggiunge il terrazzone. Si arrampica su per il palo metallico che zia May usa solitamente per stendere la biancheria, si aggrappa al bordo esterno della grondaia; aiutandosi puntando i piedi contro la parete, con un certo sforzo riesce a tirarsi su del tutto.
Una volta guadagnato il coperto, muove qualche passo sulle tegole e raggiunge la cuspide del tetto; poi si siede sui talloni appoggiandosi con la schiena alla canna fumaria. Contempla con calma la strada illuminata dai lampioni. Aspetta. I sensi di ragno tesi allo spasimo.


Mentre spingeva l'auto ai centoquaranta per le stradedeserte del primo mattino, il Labrador aveva paura, una paura bestia. Non tanto per il fatto essere inseguito da un poliziotto ma più che altro per i fatto di essere braccato da quel poliziotto. La luce strana che aveva colto negli occhi dell'ispettore Di Chiara aveva un che di deteriorato, come dire? l'espressione di un delirio in atto, ecco, sì: delirio allo stato puro. Una cosa che aveva a che fare coi demoni neri. Paure antiche e radicate convinzioni sepolte dentro di lui, incubi irrisolti...
Contorcendo quella sua bocca grassa, il Tunisino tremava per la tensione, stringeva le mani sul volante e controllava dallo specchietto retrovisore per vedere se il suo inseguitore per qualche strano miracolo poteva essersi dissolto nel nulla, la faccia madida di sudore quasi sul punto di sciogliersi in lacrime per la strizza. In cuor suo sperava ancora di potercela fare, nonostante tutto. Ma poi, mentre superava una curva sulla Bazzanese, l'aveva visto per davvero; e allora aveva capito che non ci sarebbe stata nessun tipo di salvezza. Il demone nero se ne stava là, in cima al tetto di una casa, lo stava spiando, e di sicuro lo malediceva, non lo avrebbe mai lasciato scappare...
Qualcosa di molto simile ad una mano artigliata lo afferrò alla gola e strinse molto forte, il Labrador boccheggiò, perse i controllo e la macchina sbandò verso destra, centrò un lampione frontalmente e compì un paio di giravolte prima di fermarsi definitivamente contro il muricciolo che delimitava un'officina autorizzata Fiat di fianco a un negozio 'tutto per la bicicletta'.

Di Chiara inchiodò l'auto e scese in fretta, sperando che non sopraggiungesse qualcuno proprio in quel momento. Con la Beretta impugnata a due mani, già con il silenziatore inserito, si avvicinò alla macchina fracassata. Sbirciò in mezzo alle lamiere contorte, vide il corpo straziato de Labrador, registrò i suoi lamenti, sentì l'odore della cacca che si era lasciato scappare: merda di negro, la peggiore in assoluto! Allungando il braccio armato dentro all'abitacolo, gli infilò la canna fra le grasse labbra e tirò il grilletto.

Il bossolo espulso aveva rimbalzato contro la lamiera contorta del deflettore schizzando di fuori e colpendolo alla guancia, sbucciandolo appena, l'ispettore nemmeno se ne accorse; con un sospiro quasi rassegnato, fece rientrare il braccio poi recuperò un kleenex dalla tasca interna della giacca e asciugò con cura la canna della pistola ripulendola dal sangue e dalla materia cerebrale, infine ripose l'arma nell'ascellare e sospirò ancora. Fu in quel momento che si accorse di quella sagoma scura, in cima al tetto del palazzo alle sue spalle dall'altra parte della strada, riflesso sul vetro laterale posteriore sinistro, l'unico finestrino rimasto miracolosamente intatto della Mercedes del fu pappone - labbrone. Sembrava quasi...

L'uomo ragno ha preso l'Olympus. Ha scattato delle foto. Poi l'uomo che ha sparato alla testa di quello dentro all'auto che si è schiantata contro il muricciolo del meccanico si è girato di scatto e ha guardato su ma lui, velocissimo, si è nascosto dietro il comignolo, la macchina fotografica stretta al petto quasi come a voler contenere in qualche modo il battito impazzito del suo cuore...

Di Chiara smise di guardare il tetto e salì precipitosamente in macchina, perché gli era sembrato di sentire arrivare delle auto. Si allontanò: portò la Tigra in una stradina laterale un centinaio di metri più avanti. Pensò che c'erano altri scarafaggi da schiacciare, non sarebbero finiti mai...

Solo quando l'auto è partita con un gran stridio di ruote, si è arrischiato ad uscire allo scoperto. E' sceso dal tetto cercando di non lasciarsi prendere dal panico, attento a non rompersi la testa ruzzolando giù per le scale (con quelle gambe che gli tremano così tanto). Correndo tenendo la testa bassa ha raggiunto la porta dello sgabuzzino ed è entrato in casa ansimando sotto la maschera nera: finalmente al sicuro.
Subito nella sua camera, sotto le coperte. E non si è nemmeno tolto il costume, solo il cappuccio, che ha lanciato lontano nella stanza. Cerca di non pensare a quello che ha visto, a quello che ha fotografato.
A un certo punto si accende la luce nel corridoio, rumori di passi veloci.
La porta che si apre. La testa di zia May che spunta. «Non stai bene?», chiede con un tono di voce preoccupato. Peter Parker deglutisce la saliva troppo abbondante che gli riempie la bocca e risponde.


«No, sto benissimo, mamma, sono solo andato in bagno a fare la pipì...».
«Sicuro che stai bene?» insiste lei.
«Sì sì, sto, veramente benissimo.. » insiste lui.
Poi il campanello suona improvviso. Un trillo lacerante che sembra sezionare il silenzio notturno come una lama di rasoio: tagliente e cattiva.
Sua madre ha girato la testa verso il corridoio così che non si riesce più a vedere del tutto l'espressione del suo viso, e lui se la immagina con gli occhi leggermente stupefatti, le labbra piegate in una smorfia divisa fra paura e curiosità. «Chi può essere a quest'ora?», sta chiedendo lei, mentre scompare nel corridoio per raggiungere la porta d'ingresso con quei suoi passettini veloci e delicati da passerotto.
Il bambino, preso dal panico, nasconde la macchina fotografica sotto il cuscino e scende dal letto. Sente lo scatto dei catenacci di sicurezza dell'uscio principale. Una voce maschile, bassa e gracchiante, che dice delle cose riguardo un cellulare guasto e un incidente giù in strada, poi la mamma, come un uccellino, cinguetta: «Ma prego, si accomodi pure, ispettore, il telefono è di là, venga ven...»
Un esplosione secca, simile a una martellata e un gemito sottile seguito da un tonfo molle sul pavimento.
Il bambino si lascia scappare un sussurro terrorizzato: «Mamma... ». Le lacrime che gli scendono dagli occhi, le labbra piegate all'ingiù. Vorrebbe scappare via, vorrebbe fare chissà cosa, vorrebbe riuscire per lo meno a respirare. Poi sente quei passi strascicati che si avvicinano, si avvicinano! , e allora si asciuga la faccia col dorso della mano guantata e manda giù più volte. Stringe forte i denti e i pugni, cerca un'espressione determinata, raccoglie i cappuccio da terra e se lo infila, poi si gira verso la porta: qualcosa di denso e di lucido si sta allungando sul pavimento, strisciando sulle mattonelle di cotto bianco come un serpente purpureo... Compaiono un paio di Nike da corsa, lentiggini di sangue sui laccetti e sulla tomaia bianca e nera...

Lentamente. Molto lentamente, Peter Parker alza lo sguardo fino ad inquadrare del tutto quella sagoma scura e terribile comparsa sulla soglia come per magia. I sensi di ragno tesi allo spasimo.

(inedito)
L'autore: Gianfranco Nerozzi

Gianfranco Nerozzi è nato a Bologna nel 1957, dove vive e lavora. E’ passato attraverso numerose esperienze artistiche, fra cui la pittura e la musica: autore e compositore, ha militato per più di dieci anni in un gruppo rock dell’area bolognese. Appassionato di culture orientali, praticante lui stesso di diverse discipline di combattimento, sta preparando uno scritto sulla filosofia del karatè. A parte tutto ciò lavora nella pubblica amministrazione. Nel 1990 entra tra i finalisti del premio Tolkien con il racconto ‘In fondo al nero’. Nel 1991 pubblica il suo primo romanzo, lo splatterpunk ‘Ultima pelle’, per le edizioni Eden. Nel 1992 si classifica secondo al XII Premio Tolkien con il romanzo ‘Cry Fly’ ed entra a far parte della World SF, l’associazione internazionale che riunisce i professionisti che lavorano nel campo del Fantastico. Nel 1993, una versione riveduta e ampliata di qualla sua prima storia d’esordio esce come ‘Le bocche del buio’ nella microcollana ‘I piccoli libri dell’horror’ della Polistampa di Firenze. Dalla pubblicazione de ‘Il grande specchio’ sull’antologia Plot 2 edito dalla Metrolibri (1991), suoi racconti dell’orrore sono apparsi su diverse pubblicazioni: Achab, Eternauta, Diesel. Ha partecipato alla raccolta ‘Giallo, nero e mistero’ edita da Stampa Alternativa e all’antologia ‘Sospeso’ (Entronauta).


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