Ho sempre odiato le maschere, fin da piccolo. Il carnevale, che divertiva tanto gli altri bambini, era per me una vera sofferenza perché il piacere di vestirmi da cowboy, che potevo soddisfare solo in quel giorno, si doveva in qualche modo pagare con l'obbligo di coprirsi la faccia con quello stupido cartoncino che oltretutto si inzaccherava subito di fichi e di datteri. Tuttavia bisognava metterla la maschera, perché cosė voleva la tradizione, altrimenti ti riconoscono, dicevano gli adulti. E invece io volevo proprio essere riconosciuto, questo era il punto. Volevo che tutti mi vedessero con indosso le mie pistole luccicanti e ai piedi gli speroni che suonavano come nei film: che tutti sapessero che quel pistolero ero io. Ecco perché, vedendo quella maschera, ci sono rimasto cosė male. Poi però quegli occhi mi hanno rabbonito. Che occhi! Di quell'azzurro screziato di grigio che, a uno come me, lo paralizzano in un istante. Io credo di avercelo nei cromosomi l'elemento che mi rende schiavo di quegli occhi. E' un sogno, mi sono detto, e lei è mia madre. Già, ma che ci facciamo, io steso in un letto e lei in piedi mascherata che mi guarda? Potrebbe essere quella volta che ero ammalato e che lei, per divertirmi, salė in camera mia con la maschera. Dev'essere senz'altro cosė, gli occhi sono i suoi, ma se è mia madre perché non mi abbraccia? No, non è lei. Allora dev'essere Flavia, la mia vicina. E' proprio carnevale e lei è mascherata, anche Flavia ha gli occhi azzurri e si veste sempre da damina. Che barba per un pistolero accompagnare sempre una damina del settecento! mai una volta che si vesta da squaw o da Calamity Jane come piacerebbe a me. Però quegli occhietti azzurri sono belli davvero. Non può essere Flavia, quello che indossa non è un costume da damina. Chi è dunque la sconosciuta mascherata che mi sta guardando? Ho capito, è quella che mi baciò alla festa del liceo. Avevo deciso di andarci a viso scoperto, forse l'unico che si era rifiutato di mettersi in maschera perché, cocciuto com'ero, non me l'ero proprio sentita di prendere parte a quell'idiozia. Appena dentro il locale, mi si era fatta incontro quella tipa: "Ciao, Edgardo!" "Chi sei?" le faccio. "Tu non sai chi sono io, ma io so che tu sei Edgardo" e mi aveva baciato. Un bacio vero eh, di quelli che ti fanno sentire il duro dei denti. Mi si era piazzata di fronte e mi aveva appiccicato le labbra sulla bocca. Che bacio! io ero rimasto fermo come un allocco e lei era fuggita via. Per quanto avessi cercato non ero più riuscito a trovarla. Chi sarà, mi chiedevo, chi sarà. Continuai a chiedermelo per anni, ma non fui mai capace di scoprirlo. Di lei mi erano rimasti solo l'azzurro degli occhi incorniciato dai fori della maschera e la durezza dei denti da ragazza giovane. No, non è nemmeno lei, questa qui ha una maschera diversa e gli occhi sono completamente liberi. Sembra quasi una maschera da gatto e poi i capelli dove li tiene? non riesco a vederli. Però è dolce, mi sta parlando con dolcezza anche se non capisco bene cosa dice, chissà se sta sorridendo, dagli occhi si direbbe di sė, peccato che abbia la bocca nascosta. Che strani i sogni, adesso sta svanendo. Me lo ricorderò domattina? "Tommaso" "Sė, dottoressa Fabbri" "Stacchi tutto, è andato" "Poveraccio, guarda com'era ridotto, non poteva farcela vero?" "Che vuole, se ne salva uno su dieci. Maledette autostrade!" "Ha patito molto?" "Mah, non si può mai dire cosa provano quando sono in queste condizioni, credo che dolore non ne abbia sentito". "Ha mai ripreso conoscenza?" "Un attimo prima di morire. E' incredibile, ha alzato un braccio e mi ha sfilato la mascherina". (inedito) L'autore: Giovanni Zanzani Giovanni Zanzani, nato a Sant'Agata sul Santerno nel 1949, risiede a Bologna. |
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